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La pittura della voce
Un titolo misterioso ripreso, in parte, dall’affermazione di Voltaire secondo la quale la scrittura è la pittura della voce. Da qui muove la riflessione sull’allestimento e la possibilità di montare pochi preziosissimi reperti in un modo consono alla loro bellezza.
La scrittura dipinge le mutevolezze cromatiche di un quadro, gli scuri e i chiari del suono umano proveniente dalla bocca. Essa, sin dai tempi più antichi, si dispone come una variabile rappresentazione del mistero della parola.
Così il rapporto tra scrittura e visione diventa emozionante perché in un tempo solo, quello in cui noi osserviamo, ci porta tra pietre, graffiti, pittogrammi. Come raccontare questo mondo sterminato in due ambienti densi di mistero?
Decidiamo di partire dalla terrazza a Sud. Dall’esterno, si entra in un periscopio che inquadra quattro direzioni: Capri, Miseno, Costiera Sorrentina, Cuma.
Devono essere, però, inquadrature simboliche per fare comprendere come i quattro quadri, siano carichi d’ombre, mutevoli e per -nulla- rivolte a uno scenario reale. Eccoci dentro l’edificio sito all’apice della fortezza dove la mostra è ospitata in due preziosi vani, dove si trovano due oggetti: un recinto a forma di crostaceo. Poi una linea, come una lisca fossile, attorno alla quale girare. Entrati nell’ombra e nelle luci del mistero, un recinto verde penicillina ci introduce a una prima raccolta di tesori mai esposti: quindi la sequenza di classici si sistemano per essere riscoperti anche nel secondo ambiente in linea dove si lascia la libertà di muoversi avanti e indietro. Il ruolo dell’architettura e dell’allestimento, in questo caso, necessitano di una specifica teatralità e di un senso di smarrimento e ritrovamento.
Questo è stato fatto affinché qualcosa che un archeologo può riconoscere nelle sue piccole dimensioni anche da solo, venga invece, da un non esperto catturato nel senso spettacolare di una continuità come in una irripetibile oreficeria.